Dopo le prime settimane di sbalordimento e angoscia, tra febbraio e marzo dell’anno scorso, sembra quasi che alla guerra tra Russia e Ucraina sia subentrata una certa assuefazione. L’anno scorso, in tutte le nostre classi, ne abbiamo parlato tanto di questa guerra, abbiamo cercato di comprenderne le cause, abbiamo discusso sulle possibili alternative alla risposta bellica di fronte all’aggressione russa.Poi però le notizie dall’Ucraina hanno smesso di “fare notizia”. E noi abbiamo ripreso ad affrontare i consueti argomenti, a proporre le consuete attività.

D’altra parte, non possiamo certo passare il tempo ad angosciare le nostre studentesse e i nostri studenti parlando della guerra. Anche perché dovremmo parlare di molte altre guerre. Perché solo l’Ucraina? Perché è più vicina?

C’è una terza via rispetto al parlare continuamente delle guerre e l’ignorarle?

Penso di sì. La terza via è parlare della nonviolenza, praticare ed educare alla nonviolenza. Quando ti arrivano i carri armati in casa non è semplice difendersi senza violenza. Forse è addirittura impossibile. Infatti, io penso che la cultura della nonviolenza serva a prevenire l’arrivo dei carri armati più che a opporvisi.

E allora a scuola potremmo – già lo si fa ma non basta mai – sempre di più diffondere questa cultura della nonviolenza. Ne richiamo qualche principio basandomi soprattutto su un vecchio libretto di Giuliano Pontara, grande studioso di Gandhi, dal titolo “La personalità nonviolenta”.

Ovviamente è necessario, innanzitutto, ripudiare la violenza come mezzo di risoluzione dei conflitti, poi però bisogna anche essere capaci di identificare la violenza che a volte si annida in comportamenti apparentemente accettabili. Tra le altre caratteristiche della personalità nonviolenta elencate da Pontara desidero sottolinearne solo altre tre: la fiducia negli altri, la capacità di dialogo, il rifiuto dell’autorità. Avere fiducia negli altri significa che quando si vive un conflitto bisogna essere convinti che chi si oppone a te ha buone ragioni per opporsi, perché, come te, sta cercando qualcosa di giusto. È difficilissimo ma è la base per dialogare, per riconoscersi reciprocamente degni di ascolto, intenzionati a trovare una mediazione. Ciò implica, tra l’altro, la consapevolezza che la propria posizione potrebbe anche essere sbagliata e quindi modificabile.

La terza caratteristica, il rifiuto dell’autorità, significa che l’autorità non va obbedita in quanto tale ma solo dopo un vaglio critico: la legge che mi viene imposta, l’ordine che mi viene dato sono finalizzati al bene oppure creano discriminazione e ingiustizia? In questo secondo caso la persona nonviolenta si oppone all’autorità. Noi insegnanti, educatrici ed educatori, dobbiamo favorire il senso critico, il coraggio di dire dei no motivati perché molte delle tragedie della storia sono state possibili proprio perché ci si è accontentati di obbedire alle leggi. Non a caso la regola dell’obbedienza cieca appartiene agli eserciti che servono a fare le guerre.

Molte altre cose si possono fare. Per esempio, raccontare e fare studiare una Storia che non si riduca a un susseguirsi di guerre ma che sappia evidenziare le lotte nonviolente. Quanto si parla di Gandhi, Martin Luter King, Nelson Mandela, dei danesi che si sono autotassati per salvare i loro ebrei o dei bulgari che hanno ignorato gli ordini dei nazisti e non hanno deportato nessun ebreo dal loro Paese? Ma ancora: quanto si parla di femminismo facendo la storia dell’età contemporanea? Il femminismo è stato, ed è ancora oggi, un movimento culturale rivoluzionario e nonviolento che ha migliorato radicalmente le nostre vite. Eppure è di solito relegato a qualche “lettura” a margine di lunghi capitoli che parlano di guerre, battaglie, strategie militari, conquiste territoriali, massacri.

Ho voluto fare solo qualche esempio di ciò che potrebbe aiutare a liberare le nostre menti dall’idea dell’ineluttabilità della guerra.