Abbiamo partecipato in tre IdR di Parma (Rossana Frigeri, Carla Mantelli, Matteo Pelloni) al convegno IRC “Educar-ci nei processi di apprendimento” svoltosi a Roma il 5-6 marzo scorso. Il soggetto promotore era la Pontificia Università Salesiana che da molti anni si occupa della nostra disciplina pubblicando testi e offrendo agli insegnanti occasioni formative. Per avere un’idea dell’attività all’interno del quale il convegno si inseriva si può visitare il sito www.pedagogiareligiosa.it  dove si trovano anche tutte le relazioni presentate.

Ci siamo riproposti di raccontare qualcosa del Convegno al prossimo incontro di aggiornamento che si svolgerà in aprile. Per il momento mi limito a riportare alcune osservazioni e riflessioni “a margine”

L’ambiente salesiano di Roma è decisamente internazionale ed è stato molto bello potersi confrontare con preti coreani, studenti colombiani, insegnanti reduci da decenni in Africa, suore albanesi…

I relatori (tutti uomini, tranne le conduttrici di un paio di gruppi) hanno approfondito il rapporto tra educazione e insegnamento-apprendimento, tra pedagogia e didattica; hanno toccato il tema della certificazione delle competenze e definito il quadro europeo all’interno del quale si trova l’IRC italiano; infine, con la relazione di Sergio Cicatelli, è stata presentata la ricerca (in via di conclusione) sugli apprendimenti in Religione Cattolica: una specie di prova INVALSI per l’IRC.

Nonostante la questione non fosse oggetto del convegno, una domanda trasversale aleggiava più o meno esplicitamente in molti interventi: ha ancora senso un IRC come è impostato ora in Italia? Ha ancora senso che l’insegnamento religioso offerto dalla scuola italiana sia di contenuto confessionale, non obbligatorio, privo di possibilità concreta di valutazione? In base agli interventi di diversi relatori e di qualche partecipante la risposta sembrerebbe negativa anche perché è stato ripetuto più volte che l’Europa va verso un insegnamento della religione senza “c”, cioè non confessionale e obbligatorio per tutti. Un prete reduce da decenni passati in alcuni Paesi africani si stupiva che in Italia si facciano tanti sforzi nella formazione di IdR, nella definizione di contenuti e strategie didattiche…”per una materia che non conta niente!”. In Africa le scuole statali prevedono l’insegnamento di Scienze Religiose, obbligatorio e valutato come tutte le altre discipline. Stessa scelta è stata fatta recentemente in Colombia. L’Italia dunque è arretrata rispetto all’Europa e al resto del mondo?

I partecipanti non sembravano concordi. Modificare l’attuale assetto appare a molti come troppo rischioso perché nessuno può garantire che si raggiungerebbe un equilibrio migliore, cioè più adatto a rispondere alla domanda di istruzione/educazione religiosa di cui si sente tanto bisogno nelle nostre società a marcato pluralismo religioso.

A proposito di quest’ultima questione ha colpito un’affermazione di Cicatelli. La ricerca sugli apprendimenti nell’IRC, ha detto, utilizza come base le indicazioni nazionali per la disciplina perché è a quelle che ogni IdR si deve attenere. E già questo potrebbe non essere scontato. Di seguito inoltre, a chi ha espresso il dubbio che le Indicazioni siano eccessivamente “cattolicocentriche” Cicatelli ha risposto che a suo parere i riferimenti al pluralismo religioso in esse sono al contrario “eccessivi”. Sarebbe davvero interessante analizzare insieme le Indicazioni e verificare:

1. In che modo ne teniamo conto nella concreta attività di aula;

2. Se davvero contengono riferimenti “eccessivi” al pluralismo religioso.