Mi sono fatta coraggio e l’ho letto: Massimo Giuliani, Il conflitto teologico. Ebrei e cristiani, Morcelliana (pp. 296  €.21,00). Indubbiamente, essere costretta a casa in quarantena ha aiutato ma ci è voluto coraggio perché si tratta di un testo piuttosto denso e impegnativo. Devo però dichiarare che è stato un piacere leggerlo. Quello del rapporto tra Ebrei e cristiani è una tema che di solito affronto nelle quinte liceo, e mi interessa molto. L’autore ci conduce lungo i secoli, dalla distruzione del Tempio nel 70 d.C.

fino ai nostri giorni e ci spiega in modo molto approfondito le radici e le forme della lettura tipologica delle Scritture ebraiche (Tanakh). Una lettura che ha visto in esse solo “figure” di ciò che sarebbe diventato realtà con Gesù e quindi con il Nuovo Testamento. E in effetti io ricordo benissimo che negli anni dei miei primi studi teologici mi si spiegava che la Bibbia andava letta cominciando dal Vangelo, pena non capirne nulla. Ma già Bonhoeffer ammoniva che ha molto senso spiegare le Scritture cristiane alla luce della Bibbia ebraica mentre ha poco senso che si proceda all'inverso, ossia spiegando la Bibbia ebraica alla luce del Nuovo Testamento.

In ogni caso, secondo Giuliani, l’errore non sta tanto nel compiere una lettura tipologica delle Scritture ebraiche quanto nel pretendere che sia l’unica possibile. Infatti, dalla lettura tipologica del Tanak (diventato così Antico Testamento) alla teologia “sostituzionista” che vede la Chiesa come “Nuovo Israele” che sostituisce il "vecchio", il passo è breve. E ancora più breve il passo verso l’ideologia antigiudaica che ha negato dignità al popolo di Israele “cieco” di fronte alle sue stesse Scritture e quindi da disprezzare e umiliare sia sul piano religioso che sociale.

L’autore ci ricorda che il rispetto dell’identità altrui, quella vera “mutua conoscenza e stima” invocate dalla Nostra Aetate, si possono realizzare solo se noi cristiani riusciamo a distinguere tra “Antico Testamento” e Scritture ebraiche (Tanak). Perché è solo attraverso la coscienza di tale distinzione passa il rispetto dell'identità altrui e anche il riconoscimento del debito che il cristianesimo ha storicamente contratto nei confronti della tradizione ebraica.

A questo punto il testo propone una rilettura di alcuni passi del Nuovo Testamento a partire dalle parole troppo spesso dimenticate di Gesù: “ Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento...” (Matteo 5,17) per poi analizzare alcuni controversi e difficili testi paolini. La conclusione è che Paolo non ha mai inteso gettare discredito sulla Legge o dichiararla superata. Ha inteso non obbligare al rispetto della Legge i Gentili che diventavano discepoli di Gesù.

Ma, almeno dal mio punto di vista, la parte più interessante del testo è l’ultima in cui Giuliani illustra il pensiero di alcuni pensatori ebrei, i quali si interrogano sul rapporto tra Ebrasimo e Cristianesimo ma anche Islam. Riporto solo alcune suggestioni. L’importanza del popolo di Israele non sta tanto in ciò che crede ma nel fatto di esserci e di esserci ancora. Senza questa esistenza anche il cristianesimo non avrebbe senso, diventerebbe una specie di gnosi. Se il cristiano non avesse alle spalle l’ebreo, si perderebbe, ovunque si trovi. I cristiani sono e saranno sempre debitori nei confronti del creditore ebreo.

La durevolezza e l’antichità del giudaismo è la prova della sua autenticità. Dio ha nascosto negli ebrei un mistero e una sapienza simile a quella che vi è nel chicco che cade a terra e muore ma dà origine a qualcosa di grande. Il seme è il giudaismo così come storicamente appare, piccolo, disperso, disprezzato e tuttavia costituisce, come un seme, un principio vitale che si trasforma dando origine a un albero: cristianesimo ma anche islam. Insomma, islam e cristianesimo sono i due rami attraverso i quali la radice ebraica ha dato i suoi frutti, tant’è vero che è grazie ad essi che le parole del giudaismo e l'attesa messianica si sono diffuse tra tutti i popoli.

Davanti a Dio dunque entrambi, ebrei e cristiani, sono lavoratori intenti alla stessa opera. Dio “non può fare a meno di nessuno dei due. Tra i due egli ha posto inimicizia in ogni tempo e tuttavia li ha legati l'uno all'altro reciprocamente in modo più stretto”. (Franz Rosenzweig citato a p. 187).