Interessante, ricca, documentata, puntuale, stimolante la relazione di Brunetto Salvarani (nella foto) alla giornata di formazione degli IdR (Insegnanti di religione) svoltasi il 7 settembre scorso. La gioia di ritrovarsi come collegio IdR è sempre grande e nasce dal riconoscersi confessanti il Kurios e quindi con-vocati a quella passione educativa dell’incontro nel volto con l’altra/o riflesso ed immagine di quell’Altro che tutti e tutte ha generato.  La conferenza di si è sviluppata su tre punti con una breve introduzione.

 

In dialogo con l’intervento di Matteo Visioli, Salvarani ha ripreso la sua riflessione su abitare la complessità affiancandovi il pensiero del vescovo di Roma Francesco che parla di un “cambiamento d’epoca”: occorre ritornare a pensare per riuscire a cogliere i segni di questo nostro tempo.

La domanda sul ruolo che deve avere la scuola oggi, anche in relazione alle grandi sfide – immigrazione, relazione con la diversità – lo ha portato a ribadire la funzione di intellettuale sociale che la scuola deve svolgere e il compito di restituire un senso di comunità che sembra svanito. Tre sono le responsabilità di cui deve farsi carico: morale, sociale e politica.

La prima riflessione era volta ad illustrare il percorso storico in Italia “dalle religioni degli Italiani all’Italia delle religioni”: un excursus a partire dalla prolusione “Gaudet mater ecclesia” (con la quale si è posto fine a un’epoca caratterizzata da forte intransigenza nella dottrina, nella morale e nel confronto tra Chiesa e società, tra cattolici e quanti non appartenevano alla Chiesa), attraverso la modernità con la sua eclissi del sacro, per giungere alla post-modernità che  autori come Peter Berger descrivono abitata da “molti altari”. Nonostante la secolarizzazione infatti, oggi viviamo un panorama di più religioni e soprattutto di religioni fai da te; oggi essere italiani non significa necessariamente essere cristiani, anche se di questa realtà non abbiamo piena consapevolezza.

Ripensare l’IRC (Insegnamento della Religione Cattolica) alla luce del pluralismo religioso è la seconda tappa. Il viaggio inizia da Nostra Aetate, punto fermo e avvio di riflessioni successive: rimanendo in parte nella prospettiva del “cuius regio eius religio”, richiama la necessità di elaborare un paradigma non solo di inclusione positiva, ma di coraggioso pluralismo. Dobbiamo chiederci: “ È la stessa cosa vivere l’Islam o il cristianesimo in una società pluralista rispetto a una società religiosamente omogenea?” Senza la pretesa di darci risposte immediate. Servono nuovi modelli interpretativi, di pensiero, strumenti seri e scientifici di conoscenza della realtà, ad esempio sulla percezione che in Italia si ha della presenza degli stranieri. In Germania sono state svolte ricerche serie e interessanti che dimostrano come l'integrazione funzioni più di quanto si creda. Di grande interesse la citazione del lavoro di una sociologa francese, Daniel Hervieu Lèger, nel volume “Il pellegrino e il convertito. La religione in movimento” (Il Mulino, 2003) in cui si narra il passaggio dal praticante, che ha come riferimento la parrocchia, al pellegrino, modello che rimanda alla provvisorietà e alla fluidità dei cammini religiosi e a una forma di socialità religiosa che si definisce nel segno della mobilità e dell’adesione temporanea. Leggiamo anche noi il disagio procurato dalle istituzionalizzazioni e vediamo anche che il sincretismo e il rifiuto di appartenenza, a lungo disprezzati, devono essere ricompresi come domande inevase che diventano per noi, insegnanti di religione, la preziosa zona di confine in cui svolgere un ruolo chiave.

Dobbiamo ripensare l’IRC a partire dal Piano triennale di formazione dei docenti (L.107) che per la prima volta, in modo ufficiale, riconosce che le competenze religiose sono fondamentali per tutti e riprende alcuni temi sulla intercultura e interreligione. Gli IdR possono essere punti di riferimento per corsi di formazione, per esempio per introdurre alla lettura del Corano o dei Grandi Codici religiosi. È diffusa infatti l’ignoranza su questi temi mentre tra le finalità del Piano vengono menzionati lo sviluppo del pensiero critico e il dialogo interreligioso.

Nel terzo momento Salvarani ha affrontato il tema dell’educazione al dialogo come stile. Il riferimento è a diversi suoi testi, tra cui lo storico “Vocabolario minimo del dialogo interreligioso” EDB 2003; “Educare al pluralismo religioso. Bradford chiama Italia” EMI 2006; “Il dialogo è finito? Ripensare la chiesa nel tempo del pluralismo e del cristianesimo globale” EDB 2011. Da ultimo, “Il dialogo come stile”, in cui sono raggruppati gli interventi del vescovo di Roma Francesco sul dialogo e il testo del teologo C. Theobald “Il cristianesimo come stile” .

L’incontro si è concluso con il dialogo con il relatore dopo un breve confronto a gruppi per ordine di scuole.

Una sfida, il dialogo, per tutti gli esseri umani: infatti il dialogo è lo spazio e lo strumento di cui disponiamo per definirci e divenire, consapevoli del fatto che siamo in quanto esseri in relazione. Un compito necessario per noi credenti, sapendo che “Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui gradito” At 10,34, e che il nostro Maestro e Signore ci ha detto: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” Gv10,10.

Buona Vita a tutte e tutti. 

L'articolo è stato pubblicato sul settimanale "Vita Nuova"