Nei collegi docenti e nei consigli di istituto di questi giorni, oltre ad approvare le adozioni dei libri di testo, si parla molto della grande quantità di denaro che sta arrivando per finanziare i progetti del PNRR. Uno degli ambiti maggiormente finanziati è quello della lotta alla dispersione scolastica. Le azioni che le scuole dovranno compiere sono già in gran parte definite dall'alto, sia come numero di ore che come struttura. Si spenderanno molti soldi per un periodo relativamente breve… e poi?

Poi la speranza è che dalle esperienze fatte si possa imparare qualcosa che diventi prassi costante ed efficace per prevenire e combattere un fenomeno grave perché coloro che abbandonano la scuola corrono il forte rischio di non trovare il proprio posto nella società. Come sappiamo esistono due tipi di dispersione, una esplicita e una implicita. La prima riguarda coloro che hanno tra i 18 e i 24 anni e sono in possesso solo del diploma di terza media (11,5% la media italiana nel 2022). La seconda invece riguarda le persone che hanno conseguito un diploma di scuola secondaria di secondo grado ma non posseggono le competenze minime previste dal percorso di studi effettuato. Questo tipo di dispersione riguarda circa il 10% dei 18-24enni italiani.

Pochi giorni fa si è svolto un interessante webinar organizzato dall'ADI, Associazione Docenti e Dirigenti Italiani, proprio sul tema della dispersione. Tra i numerosi interventi, particolarmente toccante è stata la storia raccontata da una giovane donna che in un momento difficile della sua vita, giudicata severamente da qualche docente e presa in giro dal gruppo classe, aveva abbandonato la scuola. È però riuscita a riprenderla grazie a un’insegnante che è andata a trovarla a casa invitandola a tornare, infondendole fiducia nelle sue possibilità. Il semplice gesto dell’insegnante ha motivato l’allora ragazza a riprendere gli studi, diplomarsi, iscriversi all’Università con successo fino alla doppia laurea e al dottorato. Il messaggio è stato: a volte bastano poche parole per provocare una svolta decisiva, positiva o negativa, nel percorso scolastico di studentesse e studenti.

Con quali parole, con quale atteggiamento noi insegnanti ci rivolgiamo a coloro che abbiamo davanti? Che cosa e come comunichiamo quando assegniamo un voto o un giudizio, alto o basso che sia?

Gli altri interventi hanno illustrato attività didattiche svolte in vari Paesi europei. Ne riporto solo un paio a mò di esempio, anche perché si tratta di iniziative facilmente replicabili.

Risulta spesso utile e motivante (primo esempio) fare incontrare bambine e bambini, ragazze e ragazzi con persone che svolgono le più svariate professioni. Questi incontri (che devono essere numerosi, vari e ben preparati) non solo sono utili a motivare allo studio (“devo prendere sul serio la scuola se voglio fare quel mestiere che mi ha affascinato”) ma aiuta anche ad allargare l’orizzonte (andando oltre il tipico il desiderio dei maschietti di fare il calciatore e delle femminucce di fare la maestra) e a superare gli stereotipi: chi vuole specializzarsi in chirurgia di solito si immagina un uomo che fa il chirurgo e far conoscere una chirurga è molto educativo.

Un secondo esempio replicabile riguarda la scelta di un istituto comprensivo di Modena dove all’insegnante di sostegno viene affidata per due ore settimanali l’intera classe. In questo modo vengono rafforzate le attività che promuovono la motivazione e l’inclusione, viene diminuita l’importanza del voto, si dà molto spazio a creatività e lavoro di gruppo.  Per approfondire www.adiscuola.it