Aspettavo con molta curiosità, pronta anche a una delusione, la fiction su Chiara Lubich  “L'amore vince tutto” andata in onda su Rai 1 domenica 3 gennaio in questo 2021. Dichiaro subito che la mia non potrà essere un'analisi “super partes” ma di parte, poiché fin da piccola ho frequentato l'esperienza dei Focolari. Mia nonna è partita da Parma nel 1961 per raggiungere Chiara a Roma per poi spostarsi a Loppiano dove ha insegnato italiano agli stranieri per 30 anni.

 

Scrivo sul blog perchè penso che per noi docenti di religione cattolica valga la pena conoscere una delle pioniere del Concilio Vaticano II e delle grandi trasformazioni ancora in atto (ultima la Fratres Omnes, già tutta presente nel carisma della Lubich).

Nata a Trento 100 anni fa (il 22 gennaio 1920), 23enne maestra elementare in attesa di andare a studiare filosofia a Venezia, sotto le bombe della II guerra mondiale che annientano ogni progetto e ogni speranza, Chiara intuisce che Dio ama tutti (ma proprio tutti!)  e che l'unità è il sogno di Gesù consegnato nelle nostre mani, il suo testamento spirituale (“Padre, che tutti siano una cosa sola...”  Gv. 17,21-23).  Unità che per lei non avrà mai solo una dimensione spirituale, ma reale e soprattutto universale. La fiction permette di comprendere  la scintilla originaria dell' esperienza di Silvia Lubich divenuta Chiara (quella di S. Francesco, naturalmente), ma per chi non conosce il Movimento da lei fondato forse il film  non permette di comprendere quel profondo e stravolgente cammino che il seme del carisma ha fatto nella chiesa e nella società: la fraternità universale come dimensione antropologica e di sistema, la laicità, il dialogo come stile (tra le chiese separate, tra le religioni, con le altre culture, in politica, con chi non crede...), l'altro/diverso come universo in cui specchiarsi e da proteggere, ammirare, comunione dei beni ed economia di comunione.

Un carisma femminile, come giustamente il film sottolinea con efficacia, che si scontra con quella Chiesa maschile e “chiusa” nella difesa di se stessa che nella fiction emerge con molta chiarezza: maschi inquisitori che sbeffeggiano una donna, sola. Se penso che proprio Chiara nei miei 15 anni ribelli mi ha insegnato la bellezza e la maternità della Chiesa, ora immagino l'enorme lavoro che su di lei ha svolto il suo “grido di Gesù abbandonato”: un perdono totale.

Il film mi è piaciuto perchè non ho mai preteso che mi facesse “vedere” o rivivere Chiara. E molte persone mi hanno detto di essersi commosse, pur conoscendo poco di lei e del Movimento. Quindi ha funzionato, ha permesso di comprendere come Dio parli attraverso di noi, attraverso gli occhi con cui guardiamo la realtà, soprattutto la più dura. Questa giovane ragazza che decide di sposare Dio rimanendo laica, non viene presentata mai in una dimensione spiritualista o mistica ma nella concretezza e nel bisogno di “incarnazione” delle parole del Vangelo. La sceneggiatura riesce tuttavia a focalizzare la sua capacità di sguardo interiore, in una evoluzione che passa dal senso di sgomento (per cui alle domande degli alunni risponde “non lo so”), fino alle “risposte di vita” che trova grazie alla lettura/vita del Vangelo e senza “falsa prudenza” (come spiega al suo Vescovo che la proteggerà sempre, salvandola).

L'ascolto di Dio dentro, secondo la mia esperienza educativa, è proprio quello più difficile da fare vivere ai nostri ragazzi/e oggi, quasi che “andando dentro di sé” non trovassero niente e quindi avessero paura a farlo. Emerge inoltre con molta naturalezza nel racconto la visione dell'“andare dentro di noi insieme”: Chiara infatti non è più sola ma è circondata da un gruppetto di ragazze che si uniscono iniziando ad amare concretamente le persone bisognose e poverissime della città di Trento, bombardata nell'ottobre del '43 dagli americani. È amando insieme che ci si incontra veramente. E si può incontrare Dio. Bellissimo!

Vi è una scena particolare, in montagna, che rimanda all'amicizia, al fare gruppo, al divertirsi, all'essere felici con gioia vera in cui le amiche di Chiara si chiedono: da dove nasce la nostra gioia? “Dove due o più sono uniti nel mio nome io sono in mezzo a loro” risponde lei citando Mt. 18,20.

Questo passaggio dall'io al Noi (cioè con Gesù tra noi che ci amiamo) nella storia del carisma è una realtà fondamentale ed è anche una delle novità “teologiche” e dottrinali portata da Chiara che cerca come può di incarnarla nell’organizzazione del focolare, fino a che lei stessa definirà quella del Movimento una “spiritualità collettiva”, una santità collettiva, di popolo. L'essere l'uno per l'altro, la reciprocità come stile che invade ogni campo dell’esperienza...tutto questo appare decisamente attuale nella situazione di pandemia che stiamo vivendo, dove è indispensabile valorizzare la dimensione collettiva, sentire che ci salviamo se siamo nella piena reciprocità, fiduciosi che “non c'è spina senza rosa”, in una visione di Resurrezione.

Eppure tutto questo Vangelo è stato “rubato” dalla cocciutaggine di questa ragazza che continuamente viene contestata dai “sacerdoti prudenti” che dichiarano: “Si certo leggere il Vangelo dove due o tre sono uniti... ma con un sacerdote!!” E vengono accusate di protestantesimo, quindi di eresia. Donne, giovani che leggono il Vangelo e lo interpretano senza uomini sacerdoti come garanti e intermediari, ma con altri uomini laici e liberi: accusate anche di promiscuità. E parte l'inquisizione, prima scena del film. Già dal 1950 infatti Chiara e il suo movimento è indagato dalla Chiesa e un lungo processo la costringerà anche a dimettersi da presidente. Vale la pena vedere questo film anche per farsi una idea di come poteva essere la chiesa gerarchica a quel tempo, e non solo quella gerarchica. Chiara Lubich sola per anni davanti ai cardinali inquisitori in Vaticano che cercano “la verità” (cioè il male) in lei per salvare la chiesa. Terribile. Ma è storia. I papi l'hanno salvata... mai nessuno ha firmato la chiusura del movimento, anche se la richiesta fu posta sulla scrivania di Pio XII. Ma questa è un'altra storia.

Penso che la forza comunicativa del cinema abbia contribuito a mettere questa luce/Chiara sul moggio al momento giusto, all'inizio del nuovo anno 2021, pieno di speranze e sfide. In questo cambio di epoca così difficile penso sia molto opportuno offrire ai giovani figure profetiche reali e riconoscibili come quella di Chiara Lubich.  Qualcuno l'ha definita, utilizzando la metafora di Papa Francesco, “un vaccino spirituale” di cui avremo sempre bisogno.

Poiché molti hanno scritto molto meglio di me sull'argomento, mi permetto di indicare alcuni testi di riferimento, in particolare quelli di Roberto Catalano che nel Movimento dei focolari ha sempre seguito il dialogo interreligioso, di Luigino Bruni, economista e teologo e di Lucia Abignente, storica.

 Foto in apertura: Cristiana Capotondi nel ruolo di Chiara Lubich  -  Foto all'interno: Chiara Lubich