“Le buone domande definiscono l’oggetto della nostra concentrazione, della nostra azione, della nostra ribellione. In altri termini, molto più delle buone (o delle cattive) risposte plasmano il mondo e il futuro”. Queste parole si trovano in un delle pagine iniziali del testo “Della gentilezza e del coraggio” di Gianrico Carofiglio, ed. Feltrinelli. Al centro della riflessione dello scrittore ed ex magistrato pugliese stanno diversi suggerimenti “per la pratica della politica e del potere” (op.cit. p.9) ma credo che le sue indicazioni possano essere molto utili anche per noi insegnanti.

 

Uno dei punti cardine del testo riguarda appunto l’arte di porre e porsi domande, la capacità di dubitare “come nucleo del pensiero critico e dunque della cittadinanza” (ibidem).

Le domande che mi sono posta sono le seguenti: noi insegnanti e, in particolare, noi insegnanti di religione, quanto siamo preoccupati di sollecitare nelle nostre studentesse e nei nostri studenti la formulazione di domande? Quante volte ci lasciamo interrogare senza l’ansia di trovare immediatamente le risposte ma anzi lasciando aperto lo spazio perché nuove domande sorgano? Quante volte di fronte ad affermazioni che per noi sono giuste chiudiamo soddisfatte la discussione invece di fare intravvedere che di fronte a ogni affermazione può essere avanzata un’obiezione?

Può darsi che qualche volta cadiamo anche noi nella tentazione di presentare il cristianesimo come una serie di risposte ben chiare. Io stessa agli inizi del mio percorso professionale come Idr seguivo più o meno questo schema: proposta di un tema per l’approfondimento, varie interpretazioni del tema, discussione e alla fine “la risposta cristiana”.  C’è sempre una “risposta” che si può trovare in qualche documento magisteriale o in qualche catechismo. (Più difficile trovarla nella Bibbia).

Col tempo ho cambiato approccio cercando di non preoccuparmi tanto delle risposte quanto di suscitare le domande, aiutare a vedere le sfaccettature della realtà, sollecitare obiezioni rispetto a qualunque affermazione. E raccontare storie. In questi giorni, per esempio, sto affrontando il tema del rapporto tra fede cristiana e politica. Impossibile definire schematicamente questo rapporto vissuto in modo molto diverso nel corso della storia.  Allora ho deciso di raccontare storie relativamente vicine a noi: Luigi Sturzo, Tina Anselmi, Dietrich Bonhoeffer, Victor Orban. Modi molto diversi di concepire e vivere il rapporto tra fede e politica. Non mi importa tirare delle conclusioni. Mi importa che incontrino testimoni, che nascano curiosità, stupore, spazi da esplorare.    

Correlato a questo atteggiamento è ovviamente la capacità di suscitare obiezioni anche a ciò che sosteniamo noi insegnanti riconoscendo che in qualunque scelta noi facciamo c’è sempre qualche contraddizione, qualcosa che potrebbe renderla discutibile. È quello che Gandhi chiamava “falllibilismo”: se vogliamo esercitare la nonviolenza, dobbiamo dialogare con chi la pensa diversamente sapendo che la nostra idea potrebbe essere sbagliata. E siamo disponibili a modificarla. Ciò non è in contrasto con la possibilità di avere forti convinzioni e lottare per esse. Semplicemente ci rende capaci di ascolto ed evita i fanatismi.

L’ascolto è un altro punto cruciale nel nostro mestiere: noi pretendiamo di essere ascoltati ed è giusto ma quanto ascoltiamo veramente chi stiamo educando? Ascoltare senza giudicare è un’arte difficile ma per noi insegnanti cruciale. Carofiglio suggerisce un test per misurare la capacità di un gruppo di discutere nell’ascolto reciproco: ciascuno dei/delle partecipanti alla discussione “ha diritto di esprimere la sua opinione solo dopo avere riassunto o parafrasato le idee e i sentimenti, insomma il punto di vista dell’interlocutore, in modo tale che ognuno possa riconoscersi nel riassunto o nella parafrasi” (op. cit. p.21). Noi insegnanti lo facciamo spesso in quella che viene chiamata “conversazione socratica” con un gruppo classe. Facciamolo fare anche ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze. Contribuiremo alla formazione di quelle competenze di cittadinanza che costituiscono la finalità fondamentale della scuola.