La rivista Il Regno, nel numero del 24 febbraio scorso, ha ospitato un articolato e documentato parere sul concorso per insegnanti di religione ad opera di due colleghi romani. Mi sembra opportuno pubblicarlo come contributo al dibattito. "Le parole del santo padre rivolte ai dipendenti vaticani il 21 dicembre 2017, per chiedere loro di aiutarlo – e di aiutare «anche i superiori» – a «risolvere» un «problema di coscienza» del pontefice relativo alla presenza in Vaticano di «lavori e lavoratori precari» per un tempo eccessivamente protratto,

 

ci hanno dato forza e coraggio nel porre all’attenzione dei nostri vescovi, in «scienza» (LG 37) e «umiltà» (GS 62) – anche per conto di moltissimi altri colleghi – una grave ingiustizia sociale che potrebbe compiersi ai danni di una particolare categoria di lavoratori italiani al servizio dello Stato e della Chiesa. Quegli insegnanti di religione (IdR) che ogni giorno dialogano con i giovani cari a papa Francesco perché «fuori dall’ovile»: accompagnandoli nel percorso di crescita umana e spirituale, affinché non perdano di credibilità la fede cristiana e il sacramento della Chiesa, e s’impegnino nelle attività di fattiva vicinanza ai poveri, ai piccoli, agli anziani e ai migranti.

Ci rivolgiamo ai vescovi anzitutto perché l’IdR riceve mandato ecclesiale dall’ordinario diocesano e non può che sottomettere ultimamente a questi ogni preoccupazione e questione.

In secondo luogo perché, se fino a oggi sembrava che tale ingiustizia dipendesse soprattutto dalla contrarietà all’IRC (e ancor più al Concordato) da parte di alcune forze politiche della maggioranza,[1] ora – da quanto emerge in pubblici comunicati dei sindacati rappresentativi e dalla stampa – pare che il Servizio nazionale per l’IRC (SNIRC) della CEI (verosimilmente determinante per il formarsi dell’opinione in materia da parte del segretario generale mons. Russo e del presidente card. Bassetti) stia sottovalutando o non considerando grave l’ingiustizia sociale che si prospetta.[2]

Lo facciamo infine perché, sollecitati dallo spirito di comunione e sinodalità, temiamo che lo «scandalo» provocato da tale ingiustizia possa ricadere sulla fede di questa parte del popolo di Dio e quindi sulla opera di evangelizzazione dei nostri pastori e del santo padre.

Tre effetti dannosi

Il recente Decreto scuola approvato dal Parlamento italiano (L. 159 del 19.12.19) contiene una norma che autorizza un concorso[3] volto all’immissione in ruolo degli IdR, il quale tuttavia produrrà tre effetti terribilmente lesivi della dignità umana, sociale e professionale di migliaia di persone e delle rispettive famiglie, di cui speriamo i nostri vescovi vogliano tenere conto soprattutto ora che il Consiglio permanente della CEI «ha dato ampio spazio al confronto sull’IRC e, in particolare, al prossimo bando di concorso (non ancora indetto)» (Comunicato finale, 23.1.20 https://bit.ly/2OktnwV).

Il primo – il più eclatante, perché moralmente inaccettabile – consiste nei licenziamenti o forzose diminuzioni di orario che verrebbero prodotti da questo tipo di concorso a danno di insegnanti che, a differenza di quelli a tempo determinato delle altre discipline (a tutti gli effetti «supplenti» su organico di fatto solo fino al termine delle attività didattiche o al 30 giugno), sono da più di cinque anni – nella maggioranza dei casi da decenni – incaricati stabili in continuità di cattedra su organico di dirittocon ricostruzione di carriera e inquadramento giuridico-economico in molteplici aspetti equiparato a quello dei docenti «di ruolo» (art. 53 L.312/80 e successivi miglioramenti normativi e contrattuali: c.d. inquadramento N05).

Tale situazione si produrrebbe senza alcuna reale possibilità giuridica di tutelare questi insegnanti (spesso padri e madri di famiglia e/o con genitori anziani e non autosufficienti a carico – e comunque dal difficile reinserimento lavorativo) limitando il numero dei partecipanti mediante la non assegnazione dell’«idoneità concorsuale», in quanto gli IdR esclusi dal concorso per decisione dell’ordinario diocesano farebbero efficacemente ricorso ai giudici e – come già avvenuto nel 2004 – potrebbero partecipare al concorso e vincerlo. Ne conseguirebbero ricorsi ai giudici nazionali ed europei da parte degli IdR incaricati stabili storici, a causa di alcuni profili di incostituzionalità (ex. art. 4 e 81 Cost.) e di violazione delle linee guida per i concorsi pubblici in relazione al fabbisogno (MPA, Direttiva n.3 del 24/4/18).[4]

Questo solo motivo spiega bene perché i sindacati (SNADIR e ANAPS) e le associazioni rappresentativi degli IdR, gli esperti in materia ricevuti in audizione al Senato (Prof. S.Ventura https://bit.ly/2PN19Lb e Prof. N.Incampo https://bit.ly/2S1WGat), gli stessi docenti (firmando a migliaia la corrispondente petizione su change.org https://bit.ly/2EIgasH), sono contrari a questo tipo concorso e paradossalmente avrebbero preferito mantenere uno status quo frutto di un equilibrio difficile ma proficuo (soprattutto per gli studenti): è meglio e più cristiano stare tutti «benino» che alcuni «bene» e altri «male» (con forte riduzione oraria e salariale) o «malissimo» (perdenti posto di lavoro), soprattutto essendo decisamente «aleatorio» chi saranno gli IdR che staranno «male» o «malissimo».[5]

In secondo luogo, tale concorso contrasta con quanto stabilisce il Concordato in merito agli IdR e alla loro idoneità (e nomina) all’insegnamento - che costituisce specificità della disciplina e della normativa che la riguarda (ad es. L.186/03), pur «nel quadro delle finalità della scuola» – discriminandoli di conseguenza dal punto di vista giuridico rispetto ai docenti ugualmente abilitati all’insegnamento delle altre discipline, e aprendo così la strada a una serie di ricorsi per alcuni ulteriori profili di incostituzionalità: ex art. 3 Cost. - perché verrebbero trattate fattispecie analoghe (di docenti abilitati) con procedure concorsuali differenti – ed ex art. 7 Cost. – perché lo stato sostituirebbe surrettiziamente la modalità di reclutamento prevista da un trattato internazionale costituzionalizzato, di fatto pesantemente messa in discussione come inadeguata.[6] Dimenticando inoltre quanto esso stesso partecipi in modo decisivo a tale reclutamento.[7]

Infine, con il concorso in questione non verrebbero selezionati, come si pensa, i «migliori» IdR, violando in tal senso le linee guida per i concorsi pubblici in relazione al merito (MPA, Direttiva n.3 del 24/4/18), forse prospettandosi un ulteriore aspetto di incostituzionalità (ex art. 97 Cost.), ma sicuramente costituendo fattispecie di non razionalità dell’attività della pubblica amministrazione.[8]

Accenniamo soltanto al fatto che questo concorso non tutela le finanze dello Stato e dei cittadini dagli effetti di norme concernenti materie di interesse ecclesiale.[9]

Ci sarebbero altre soluzioni

Quest’intrinseca criticità del concorso ordinario nel caso dell’IRC (sotto il profilo occupazionale, concordatario e meritocratico) non implica che gli IdR non siano disponibili ad altre soluzioni concorsuali «a costo zero», invero da anni proposte alle forze politiche e ai superiori ecclesiali, analiticamente argomentate e giuridicamente fondate dai sottoscritti sulla rivista on-line (16.4.2018 - https://bit.ly/34Z5Ff2) e cartacea (4/2019 - https://bit.ly/2usZuDIIl Regno. Tutto ciò a seguito di un lungo e diffuso ascolto diretto e tramite social, radio e riviste – avviato nell’autunno del 2017 – di centinaia di colleghi e numerosi ordinari diocesani: in ossequio a quel cammino sinodale cui papa Francesco sta chiamando la Chiesa universale e le Chiese locali.[10]

Ma per procedere in tal senso bisognerebbe definitivamente «soprassedere» sul bando di concorso ordinario autorizzato dalla L. 159/19: cosa possibile se vi fosse la volontà ecclesiale e quindi politica, dato che la norma prevede esplicitamente che il MIUR possa emanare il bando solo «previa intesa con la Presidenza della CEI». Tale intesa – pur nell’ambiguità del termine, che non può essere interpretato come un richiamo alla Legge di Intesa tra Stato e Chiesa – sicuramente lascia dedurre che debba sussistere un nihil obstat da parte ecclesiale a un bando che non potrebbe altrimenti venire alla luce.

Volendo però immaginare un bando (in sé auspicabile) che riesca a evitare le tre gravissime criticità segnalate, esso dovrebbe quantomeno prevedere una graduatoria finale permanente a esaurimento e una ripartizione del punteggio che assegni almeno 60 punti al servizio (2 punti per anno), 30 ai titoli e massimo 10 alla prova scritta computer based – priva di punteggio minimo – con colloquio orale da effettuarsi durante l’anno di prova (analogamente a quanto previsto dalla L. 159/19 per i docenti delle altre discipline con 36 mesi di servizio); oppure massimo 10 punti alla sola prova orale di natura didattico-metodologica priva di punteggio minimo (similmente a quanto disposto dalla L. 59/17 per i docenti abilitati delle altre discipline). In ogni caso senza lingua straniera e informatica, come previsto dalla L. 186/03.[11]

Ma se il legislatore ha chiaramente voluto un concorso non riservato e privo di GaE, e altrettanto chiaramente lo ha inteso come caratterizzato da prove con punteggio minimo (aspetti più volte ribaditi dal suo promotore on. Toccafondi), può il bando di concorso trasformare di fatto questo concorso in riservato, provvisto di GaE e con prove senza punteggio minimo? Ci sembra inverosimile e comunque, sotto questo profilo, esposto ai ricorsi – dallo scontato esito vincente – degli IdR provvisti di titoli e idoneità, ma con servizio inferiore ai 36 mesi: questi ultimi, infatti, si vedrebbero esclusi dalla possibilità di partecipare a un concorso ordinario che il legislatore ha intenzionalmente voluto aperto anche a loro [cf. nota 3].

Quello che in realtà bisognerebbe accogliere è quanto appreso dall’illuminante precedente delle diocesi di Trento e Bolzano: nel 2014 si è svolto un concorso ordinario, in conseguenza del quale si è dovuto correre ai ripari nel 2018 con un nuovo concorso, questa volta straordinario (per titoli e servizio) e provvisto di graduatorie permanenti a esaurimento (GaE). Come abbiamo già scritto altrove: «Il concorso pubblico ordinario non eliminerebbe affatto il precariato – dato anche il rapporto posti a concorso/candidati più che dimezzato rispetto al 2004 – mentre causerebbe le criticità occupazionali già segnalate, con conseguenti forme di competizione niente affatto cristiane ed ecclesiali. Viceversa, seguendo il paradigma trentino, ogni IdR saprebbe sin dall’inizio del proprio percorso lavorativo che – una volta verificata negli anni da parte dell’ordinario diocesano l’idoneità all’Insegnamento della religione cattolica (equiparata amministrativamente all’abilitazione) – l’immissione in ruolo, a seguito di ogni quiescenza dei colleghi che determini posti vacanti nell’ambito del 70%, avverrebbe secondo rigorosa e trasparente procedura concorsuale statale, che valuti titoli culturali e anzianità di servizio (e includa il superamento dell’anno di prova), salvo la manifestazione di inadeguatezze che causassero la revoca dell’idoneità stessa» (Regno-att. 4,2019 - https://bit.ly/2usZuDI).

Anzitutto, quindi, come stabilisce la norma medesima (L. 159/19, art. 1 bis, c.2), si dovrebbe procedere allo scorrimento delle graduatorie del primo e unico concorso IRC del 2004 e a una contestuale ricognizione degli organici dato lo scorrimento stesso: individuando con precisione non solo gli IdR di ruolo, ma soprattutto gli IdR non di ruolo con ricostruzione di carriera (N05), al fine di verificare il reale fabbisogno. Quindi, nel primo provvedimento legislativo utile, si potrebbe prevedere il suddetto concorso straordinario con GaE (per soli titoli – compresa l’idoneità del 2004 – e servizioanche se potrebbe essere adeguata la procedura per docenti abilitati con sola prova orale sui contenuti giuridici e pedagogico-didattici previsti dalla L.186/03 [cf. nota 8], senza punteggio minimo, prima o dopo l’anno di prova).[12]

Tale previsione non verrebbe inficiata da una recente (ed erronea) tesi, diffusa in ambienti politici e ministeriali, secondo cui – in ossequio a un indirizzo giurisprudenziale della Corte costituzionale, che si presumerebbe afferente anche al comparto scuola – non sarebbe assolutamente possibile disporre una procedura straordinaria e bandire il corrispondente concorso, se non prevedendo contestualmente almeno la procedura ordinaria (a prescindere dall’effettiva successiva pubblicazione del bando di concorso per titoli ed esami), così riservando il 50% dei posti agli IdR precari oltre i 36 mesi e tenendo aperto l’altro 50% agli IdR con meno di 36 mesi di servizio.[13]

Ciò anche in quanto, se da un lato «la ragionevolezza di una disciplina differenziata (per gli Idr) è già stata riconosciuta dalla Corte in relazione alla loro diversa e instabile condizione rispetto agli altri docenti» (sent. 192/16), dall’altro lato l’urgenza attuale di tale previsione legislativa deriva dal fatto che – secondo la stessa Corte (sent. 187/17) – precisamente una serie di procedure concorsuali straordinarie (riservate e semplificate) hanno permesso allo Stato italiano di ottenere la chiusura della procedura d’infrazione aperta nei propri confronti per abuso di reiterazione di contratti a tempo determinato in seguito alla nota sentenza «Mascolo» della Corte di giustizia europea: procedure che hanno riguardato tutti gli insegnanti, con l’eccezione inspiegabile – e ad avviso degli scriventi incostituzionale – degli IdR.[14]

Ciò sicuramente permetterebbe di scongiurare gli effetti deleteri di un concorso come quello ora autorizzato, contrario in modo evidente ad alcuni «punti fermi» del pontificato di papa Francesco: la tutela dei minori e di situazioni familiari e lavorative consolidate, il rispetto dell’eguaglianza sostanziale tra lavoratori e l’attenzione ecclesiale a non pesare inutilmente sulle finanze statali e dei cittadini. In tal senso confidiamo nei nostri pastori, perché possiamo essere finalmente e veramente ascoltati secondo quell’«apostolato dell’orecchio» tanto auspicato da papa Francesco".

[1] Cf. E. Lenzi, Avvenire 10.12.19.

[2] Ciò si desume dalle lettere dei due sindacati più rappresentativi degli IdR italiani (circa undicimila docenti) pubblicamente rivolte al responsabile dello SNIRC per chiedergli di «mantenere la promessa» relativa alle «valutazioni e intenti condivisi» a tutela di «tutti quei colleghi precari che vedono rimesso in discussione il loro futuro lavorativo dopo venti e più anni dedicati alla scuola» (SNADIR-FGU https://bit.ly/398M0N1), in quanto «l’inadempienza dello stato ricadrà sugli incolpevoli insegnanti di religione che saranno sottoposti a un concorso ordinario selettivo, che sa di azione di “svecchiamento” per chi ha insegnato religione, da precario, nella scuola di stato. Si tratta di un concorso che invece di aprire le porte per la stipula di contratti a tempo indeterminato potrebbe, al contrario, determinare l’uscita dalla scuola di docenti che sull’insegnamento hanno costruito la loro vita professionale e il loro progetto familiare. Chi si assumerà la responsabilità di vedere licenziate decine o centinaia di docenti precari di religione già in servizio da 10/20 e più anni perché un iniquo meccanismo concorsuale ha deciso di affidare alla “sorte” il futuro lavorativo di migliaia tra essi? Sarebbe probabilmente la prima volta nella storia della scuola italiana che si interviene sulla problematica lavorativa per licenziare i precari e non per assumerli». (Snadir-FGU https://bit.ly/35yUeLz). Gli si domanda altresì «un gesto di chiarezza dovuta a migliaia di docenti che sono al servizio delle diocesi per l'insegnamento della Religione cattolica, e che - umiliati e discriminati - si sentono abbandonati da una Chiesa che li ha utilizzati finché ha fatto comodo e ora permette all'ultimo onorevole arrivato di eliminarli» (Anaps-CONFSAL https://bit.ly/35WYMfW). Lo stesso Corrado Zunino su La Repubblica del 3.12.19 ha potuto scrivere: «verso questa scelta c'è stata opposizione degli stessi docenti, ma non della Conferenza episcopale italiana» (https://bit.ly/2Yi2Eov).

[3] A causa di alcune interpretazioni circolanti, non sembra superfluo precisare che il concorso autorizzato è indubbiamente un concorso cosiddetto ordinario ex. art. 400 D.Lgs. 297/94, pur non essendo precisata la tipologia di concorso: sia perché la legge non ha bisogno di esplicitare espressamente ciò che è previsto come la normale modalità di svolgimento di un concorso pubblico (appunto ordinario), sia perché specificare nell’art. 1 bis, c.2 (L.159/19) la riserva del 50% dei posti ai precari storici ha senso solo in riferimento a un concorso ordinario. Se infatti il legislatore avesse voluto intendere qualcosa di diverso, avrebbe previsto ab origine un concorso ordinario e uno riservatoIpotizzare che il legislatore non abbia specificato di quale concorso si tratti, e che quindi sia possibile bandire solo un concorso riservato per il 50% dei posti disponibili e vacanti, significa non conoscere le nozioni base del diritto e, soprattutto, esporre il bando ai ricorsi – dallo scontato esito vincente – dei docenti con titoli e idoneità, ma con servizio inferiore ai 36 mesi negli ultimi 10 anni, esclusi dalla partecipazione al concorso a causa di tale bizzarra interpretazione.

[4] Un concorso ordinario – sia quello approvato (e «ottenuto» dall’on.Toccafondi) con riserva del 50% dei posti ai precari storici; sia quello proposto (dal sen.Pittoni) come unica alternativa, affiancato da uno riservato a essi per il 50% dei posti per di più senza permanenza delle graduatorie - è comunque aperto a tutti coloro che hanno l’idoneità e i titoli, pur avendo svolto solo supplenze, o non avendo più ricevuto un incarico per precisa scelta dell’ordinario diocesano, o non avendo mai insegnato (potendosi verificare in quest’ultima fattispecie fenomeni distorsivi, seppure limitati e legittimi, di riconoscimento dell’idoneità slegata dall’insegnamento). Di conseguenza esso avrà come conseguenza la perdita del posto di lavoro o il part-time forzoso degli IdR incaricati annuali storici, per fare spazio a dei neoincaricati di cui peraltro non si è ancora valutata (o si è già valutata negativamente) l’affidabilità educativa: soprattutto in tema di potenziali forme di abuso su minori. Ciò in quanto la quota percentuale del 30% dei posti a tempo determinato – già in via di restringimento a causa del calo demografico - non potrebbe matematicamente contenere tutti i perdenti posto, a motivo delle cattedre create ex novo per neovincitori mai incaricati prima.

[5] Questa preoccupazione - che è quella che toglie ogni «serenità professionale e familiare» agli IdR - sembrerebbe essere assente nel comunicato della Presidenza della CEI del 8.1.20 (https://bit.ly/2TgjRyr), per come è stato interpretato dallo Snadir-FGU (https://bit.ly/2t3l6WS), salvo non la si voglia cogliere – come auspichiamo e come evidenzia anche Franca Giansoldati (Il Messaggero, 10.1.20) – nella mancanza in esso di ogni riferimento a partecipanti del futuro concorso che non siano precari storici e idonei del concorso 2004. Siffatta limitazione, tuttavia, per i motivi suddetti non ha resistito in passato e non resisterebbe in futuro a fronte di ricorsi in tribunale. Tale preoccupazione, inoltre, permetterebbe all’on. Toccafondi di comprendere perché «restare inermi» sarebbe stato e sarebbe «una situazione» meno «allarmante», dato che con un concorso ordinario - per definizione aperto a tutti - nessun «super punteggio agli idonei del 2004 e per gli anni di servizio» potrebbe veramente garantire un IdR precario storico (e i suoi affezionati studenti e rispettivi genitori) dal «farne le spese» (cfr. Scripta manent, Avvenire 8.1.20). La medesima preoccupazione avrebbe condotto lo stesso sen. Pittoni – e dovrebbe condurre tutti coloro che pensano di superare in modo analogo le gravi criticità dell’autorizzato concorso IRC - a comprendere che gli effetti della sua proposta sarebbero nella sostanza simili a quelli del concorso autorizzato dalla L.159/19. Infatti, per gli stessi motivi descritti in nota 4, nessuna graduatoria ‘a pettine’ tra concorso ordinario (per il 50% dei posti) riservato ai precari storici e agli idonei del 2004 (per l’altro 50%) potrebbe garantire l’IdR precario storico dal dover fare spazio agli IdR «giovani laureati» supplenti non ancora o non più incaricati: soprattutto quando – come nel caso in questione - non si prevedono graduatorie permanenti a esaurimento (cfr. Scripta manent, Avvenire 11.1.20).

[6] Il Concordato, infatti, prevede che l’idoneità all’Insegnamento della Religione Cattolica sia conferita dalla Chiesa secondo i criteri previsti dal diritto canonico, il cui possesso viene valutato attraverso le procedure di merito selettive previste dai singoli Ordinari Diocesani (insegna IRC nelle scuole pubbliche una minima parte dei laureati in teologia o scienze religiose), con la conseguenza che essa, dal punto di vista statale, corrisponde giuridicamente all’abilitazione conferita dallo Stato a insegnare una qualsiasi disciplina (C.d.S., parere n. 76/58; C.M. 127/75; C.M. 217/78). Quando si sono previste procedure di immissione in ruolo per docenti abilitati di altre discipline, con anni di precariato alle spalle dovuti spesso alla colposa assenza di pubblici concorsi (seppure previsti dalla legge come nel caso ultraquindicennale dell’IRC), tali procedure sono state straordinarie, senza che nessuno osasse parlare di «sanatoria» (cf. C.d.S., sent. 868/2020). Anche questo aspetto dirimente, colto dal sen. Pittoni (ib.), resta invece estraneo al ragionamento dell’on. Toccafondi (Cfr. Scripta manent, Avvenire 8.1.20), il quale – negando l'equipollenza tra l’abilitazione dei docenti delle altre discipline e quella degli IdR – assume una posizione giuridica e politica radicalmente anti-concordataria e misconosce l’attenta procedura di selezione fondata sul merito della conoscenza dei contenuti disciplinari, delle competenze pedagogiche e delle capacità relazionali-didattiche, che il Concordato stesso e la legge statale d’Intesa affidano inequivocabilmente agli ordinari diocesani (mediante le prove e i successivi percorsi di formazione in servizio). Attraverso tali procedure, esattamente come nel caso del «primo ciclo TFA» citato dall’on. Toccafondi (ib.), è stato selezionato e formato nel corso degli anni un corpo docente di poche migliaia di insegnanti, a fronte delle decine di migliaia di laureati in teologia o scienze religiose.

[7] Gli IdR selezionati dagli Ordinari Diocesani, a differenza dei docenti a T.D. delle altre discipline (meri ‘supplenti’ su organico di fatto sino al termine delle attività didattiche o al 30 Giugno), sono inquadrati giuridicamente ed economicamente dallo Stato attraverso ricostruzione di carriera già a partire dal quinto anno di incarico e vengono – sin dal primo anno di incarico annuale su organico di diritto (fino al 31 Agosto) – costantemente confermati attraverso nomina di intesa con i Direttori degli Uffici Scolastici Regionali e i Dirigenti Scolastici. Quest’ultimi, quindi, contribuiscono a tale selezione, anche segnalando le eventuali criticità (laddove sussistessero) agli Ordinari Diocesani, i quali di conseguenza possono – come spesso è avvenuto - non riproporre l’incarico di un IdR per il successivo anno scolastico o avviare processo canonico di revoca dell’idoneità. In questo senso si tratta di processo di selezione ben più incisivo, approfondito e protratto nel tempo rispetto a quelli di abilitazione dei docenti delle altre discipline (pure affidato a enti terzi: le università)e garantito da una pluralità di soggetti statali con qualifica dirigenziale.

[8] Tale concorso, infatti, per la natura concordataria dell’IRC e per la L.186/03, non può verificare la conoscenza dei contenuti della disciplina o le capacità relazionali-didattiche (che competono agli attenti percorsi di selezione condotti dagli ordinari diocesani), ma solo elementi di storia e diritto della scuola, e generali teorie pedagogiche e didattiche: nozioni che potrebbero benissimo essere verificate, come previsto nella L. 159/19 per le altre discipline, durante l’anno di prova (successivo a un concorso per soli titoli e servizio), oppure in una prova orale senza punteggio minimo (come avviene per tutti i docenti abilitati delle altre discipline).

[9] Esso non sarebbe «a costo zero», stanti tutte le spese concorsuali e di inquadramento economico dei nuovi docenti privi di ricostruzione di carriera. Per non parlare dell’aspetto, già stigmatizzato da mons. Galantino il 25.1.18, relativo ai vantaggi che da tale concorso trarrebbero sindacati ed esperti a vario titolo (inclusi i consulenti SNIRC): in termini di organizzazione di corsi preparatori e di vendita dei relativi testi e manuali, nonché di ricorsi collettiviper un volume d’affari di qualche milione di euro.

[10] Cf. Regno-att. 4,2019 https://bit.ly/35qVU9W

[11] Sulla possibilità di pubblicare un bando di concorso ordinario legittimamente derogante contenuti e punteggi, cf. Il Regno, 16.4.2018 https://bit.ly/34Z5Ff2 (in specie i paragrafi «Lo snodo dell’idoneità ecclesiale e dei titoli accademici» e «Punteggi, lingua comunitaria e informatica», con le relative note: da 17 a 28).

[12] Un caso analogo di concorso straordinario - per soli titoli e servizio - e riservato si è verificato di recente in un settore di comune competenza del MIUR (caratterizzato da sistemi di reclutamento docenti e progressioni stipendiali simili a quelli del comparto scuola): gli art. 1-2 del D.M. 597/18 hanno stabilito la costituzione (ex art. 1 c.655 L.205/17) di «graduatorie nazionali, utili per l’attribuzione di incarichi a tempo indeterminato (…), nei limiti dei posti in organico vacanti disponibili», nelle quali è «inserito a seguito di domanda e di successiva valutazione della stessa» il personale docente AFAM «che abbia superato un concorso selettivo ai fini dell’inclusione nelle graduatorie di Istituto» – costituito da una valutazione dei titoli di studio e di servizio nonché artistico-culturali e professionali (MIUR, nota 9.6.11, prot. 3154) – e abbia svolto servizio nelle istituzioni statali AFAM per almeno 3 anni, anche non continuativi, negli ultimi 8 anni.

[13] Le pronunce della Corte Costituzionale cui di solito si rimanda (90/12; 68/11; 150/10; 293/09; 205/04) affrontano in realtà una questione ben diversa [limite del 50% di posti riservabili alla procedura straordinaria per il personale interno (o a T.D./precario non di ruolo) della P.A., nell'ambito di concorso pubblico ordinario – per titoli ed esami - su altra qualifica superiore (compreso il ruolo quale «nuovo inquadramento»), che deve essere aperta per il 50% dei posti disponibili a personale esterno (o meramente non di ruolo)]: non possono dunque riguardare un concorso IRC, proprio perché gli IdR concorrenti devono essere provvisti di idoneità ecclesiale, normalmente legata all’attività di insegnamento (almeno supplente). Questi ultimi infatti costituirebbero personale esclusivamente interno a T.D./precario non di ruolo (salvo fenomeni distorsivi, seppure limitati e legittimi, di riconoscimento dell’idoneità slegata dall’insegnamento). Tali pronunce, inoltre, sono a tutela di una norma (art. 24 c.1 D.Lgs. 150/09, richiamante l’art. 52 c.1 bis D.Lgs 165/01) la quale prevede sì l’obbligo per la P.A. di coprire «i posti disponibili nella dotazione organica attraverso concorsi pubblici, con riserva non superiore al cinquanta per cento a favore del personale interno, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di assunzioni», ma che al contempo sembra escludere dal proprio campo di applicazione il «personale docente della scuola», perché non caratterizzato dalle «tre distinte aree funzionali» che ne costituiscono il presupposto. La giurisprudenza costituzionale, infatti, non affronta mai direttamente tale questione nell’ambito del comparto scuola. Anzi, quando di recente sfiora la questione in relazione al piano assunzionale ex lege 107/15, pur senza affrontarla (sent. 130/19), si evidenzia come precisamente la difesa della Amministrazione per tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato valuti la procedura concorsuale straordinaria – riservata e semplificata (ex art. 17, D.Lgs 59/17) - «rispettosa dei limiti di non arbitrarietà e ragionevolezza, entro i quali possono essere individuati i casi eccezionali in cui il principio del pubblico concorso può essere derogato», in quanto «volta a soddisfare l’esigenza dell’amministrazione di provvedere all’assunzione di personale qualificato, altrimenti nuovamente precarizzato»: tale indubbiamente è il precariato degli IdR (nella stragrande maggioranza stabilizzato con inquadramento giuridico N05, e in buona parte idoneo al concorso del 2004). Tanto è vero che nessuna eccezione di presunta incostituzionalità ha interessato il citato concorso IRC per soli titoli e servizio con graduatoria permanente a esaurimento svoltosi nel 2018 nelle diocesi di Trento e Bolzano; e pure quando un’eccezione di presunta incostituzionalità interessò il concorso IRC del 2004 (totalmente riservato per il 100% dei posti messi a bando), la Corte Costituzionale stabilì che «la norma in questione sfugge al dubbio di costituzionalità, che deriva dalla riserva di tutti i posti ai soli incaricati annuali che la stessa norma ammette al concorso», in quanto il suo «carattere eccezionale rispetto al contesto normativo in cui è inserita (…) è espressione di discrezionalità legislativa, non censurabile sotto il profilo del principio di parità di trattamento di cui all'art. 3 Cost., se non esercitata in modo palesemente irragionevole» (sent. 297/06).

[14] La Corte costituzionale ha infatti ripetutamente affermato che rispetto alla regola del «concorso pubblico» si possono prevedere delle «eccezioni» – fatte salve eventuali «procedure di verifica dell’attività svolta» – per «consolidare pregresse esperienze lavorative maturate nella stessa amministrazione», soprattutto quando vi siano «specifiche necessità funzionali dell’amministrazione» o «peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico» (sent. 90/12; 68/11; 150/10; 215/09). Queste ultime sono ragionevolmente rappresentatenel caso dei concorsi per IdRdalla necessità di tenere conto: (1) nello specifico, dell’attuale intrinseca criticità del concorso ordinario – previsto come triennale già dall’art. 3 c.2 L.186/03 – sotto il profilo occupazionale, concordatario, meritocratico e del contenzioso che ne scaturirebbe; (2) in generale, del fatto che «lo status degli insegnanti di religione mantenga alcune sue indubbie peculiaritàquali la permanente possibilità di risoluzione del contratto per revoca dell’idoneità da parte dell’Ordinario Diocesano (sent. 297/06) e l’assenza di un sistema paragonabile a quello delle graduatorie permanenti – ora graduatorie a esaurimento (GaE) – previste per altri docenti, le quali consentono l’ingresso in ruolo in ragione del cinquanta per cento dei posti disponibili», nonché «un rapporto di servizio nel quale assume un ruolo centrale l’Intesa tra l’autorità scolastica italiana e la Conferenza episcopale italiana», per cui «la diversità della condizione dei suddetti docenti (…) costituisce una naturale conseguenza dell’intrinseca diversità del loro rapporto di lavoro» (sent. 146/2013). Non a caso «la stabilizzazione del rapporto di lavoro di tali insegnanti è, comunque, limitata da un punto di vista numerico, perché il rimanente 30 per cento degli stessi continua a rimanere privo di stabilità» (sent. 146/2013).