Quante discussioni sugli stranieri a scuola! Quante frasi fatte, spesso cattive, senza cognizione di causa. E senza compassione.  E nello stesso tempo quanta commozione e quanto sdegno quanto si studia la Shoah. La citazione che segue, tratta dal libro che racconta la storia del medico di Lampedusa, può forse aiutare ad avere uno sguardo più attento alla realtà. “Se i muri del poliambulatorio potessero parlare racconterebbero un libro già letto, del quale ci siamo dimenticati troppo presto.

 

 

Nel 2015 sono stato in Polonia per ricevere il premio “Sèrgio Vieira de Mello” e mi sono premesso di ricordare la storia di Elie Wiesel che lui stesso racconta nell’opera autobiografica “La notte”.

La sua esperienza di deportato nei campi di concentramento di Auschwitz, Buna e Buchenwald, dove perde la propria identità e diviene solo un numero. “Mai dimenticherò” scrive “quella notte, la prima notte di campo che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò qual fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto”.

Citai queste righe perché non erano così lontane dalla realtà.

Una volta, durante uno sbarco, visitai una sessantina di ragazzi. Erano pelle e ossa. Disidratati, affamati e ustionati dal carburante che durante il tragitto in mare fuoriesce dalle taniche inzuppando i vestiti e lasciando sul corpo segni indelebili. Navigavano da sette giorni in quella che chiamavano “terza classe”, la stiva dove viene stipato chi non ha abbastanza soldi per permettersi di stare sopra. I loro corpi erano sfregiati dalle torture subite, dai tagli inferti con i coltelli, dalle bruciature provocate dalle sigarette dei loro carcerieri. Le prigioni libiche sono i nuovi campi di concentramento. Le condizioni in cui viaggiano nel deserto e nel mare i migranti non sono tanto dissimili da quelle dei deportati nei treni della morte. E chi oggi vuole erigere muri e respingere i profughi non si comporta tanto diversamente da quei collaboratori di Hitler che la filosofa Hannah Arendt definì “uomini banali”. Chi lascia morire in mare migliaia di bambini o consente che vivano in condizioni disumane nei campi profughi di confine non esprime meno crudeltà di loro”.

Pietro Bartolo – Lidia Tilotta, Lacrime di sale, Mondadori 2016 pag. 63-64