Letizia Tomassone, pastora valdese di Firenze, coordinatrice dei corsi di studi femministi e di genere presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma e membro attivo del dialogo interreligioso in Italia, ha tenuto alla Fondazione San Carlo di Modena una conferenza sul ruolo della donna nelle tradizioni riformate. La tesi di fondo è che la donna sia stata valorizzata dalla Riforma protestante dall’affermazione teologica del sacerdozio universale.Tale tesi aprì uno spiraglio nel quale le donne si inserirono attivamente, pur non riuscendo ad accedere alla predicazione ed alla guida delle comunità, ma percorrendo sentieri tortuosi per emergere in una Chiesa che continuava a tenerle “sulla soglia”.

 

Il primo atto che mutò la condizione femminile nella riforma fu la fine del celibato dei preti: questo avvicinò le donne agli uomini rompendo l’isolamento e la diffidenza del clero verso la sessualità che la donna rappresentava. La coppia divenne il centro della comunità riformata. Molte donne si inserirono creativamente nell’attività pastorale come mogli o figlie di pastori; senza tuttavia essere preparate e pagate come i maschi. Inoltre, Lutero chiuse i conventi, spingendo le donne al matrimonio.

Si potrebbe individuare in questa scelta una imposizione del matrimonio, tuttavia occorre anche considerare che i conventi furono spesso trasformati in scuole, in cui l’istruzione veniva impartita sia ai maschi che alle femmine. Le diatribe sulla scelta della castità all’interno dei conventi furono feroci tra chi sceglieva di rimanere cattolica e chi invece spingeva per la riforma. Caterina Zell, ex badessa di un convento e successivamente moglie di un ex prete cattolico, scrisse una lettera per difendere il matrimonio dei preti, sottolineando come le “concubine” di tali sacerdoti fossero in precedenza umiliate e discriminate, insieme ai loro figli illegittimi. Lutero, Calvino e Zwingli promossero il sacerdozio universale ma non lo estesero alle donne.

Tuttavia le donne furono un fattore di apertura e tolleranza verso gli emarginati, (come ad esempio i riformati radicali) all’interno delle loro chiese. Marie Dentière, teologa protestante, nella sua “Lettre très utile”, sostiene il diritto alla predicazione delle donne, una vocazione che era già presente nelle mistiche del XIV e XV secolo; lo spirito santo, sosteneva, non fa distinzione tra esseri umani. John Knox, calvinista, era ostile alla presenza delle donne al potere: però aveva a che fare con una certa Elisabetta I che, tra l’altro, lo sosteneva. Calvino intervenne in proposito per sostenere che potevano esistere eccezioni alla legge della sottomissione femminile, tuttavia ammetteva la parità tra uomini e donne solo in prospettiva escatologica: essendo un grande organizzatore dell’ordine sociale, egli vedeva nella subordinazione della donna un elemento necessario all’ordine mondano.

In ambito cattolico, il fermento delle idee protestanti si diffuse anche attraverso il tramite delle donne: molte diatribe si aprivano nel momento della morte di un famigliare, allorché alcune donne rifiutavano la pratica di accendere ceri per i defunti, fare dire messe o acquistare indulgenze. La negazione dell’esistenza di un luogo come il purgatorio infatti faceva venire meno la necessità di tutte queste pratiche. La possibilità di denunciare all’inquisitore il coniuge, anche in modo strumentale, favorì la creazione di coppie molto coese dal punto di vista delle fede all’interno dei rispettivi territori (di fede cattolica o riformata).

I missionari protestanti erano spesso coniugi che andavano insieme ad evangelizzare, ma si formarono col tempo anche coppie di donne che venivano inviate in missione due a due, uscendo così dal “formato famigliare” della tradizione. I movimenti guidati da donne furono giudicati ereticali in egual misura da protestanti e cattolici: ciò che si temeva era la “femminilizzazione della Chiesa”, con la conseguente perdita di “autorità” che comportava non avere più una guida maschile. Un timore che è tuttora prevalente nella Chiesa cattolica, ma che è smentito dall’esperienza del ministero femminile nelle Chiese riformate attuali. Anzi, la presenza fisica delle donne nel ruolo di ministri e predicatori, ha sottolineato la Tomassone, cambia anche la percezione di Dio nei fedeli: vedere una donna incinta che celebra, o il corpo disabile di un celebrante favorisce l’inserimento ecclesiale di altri “ultimi”, come gli immigrati o gli omoaffettivi… Ma qualcosa è cambiato anche nella chiesa cattolica col Concilio Vaticano II, con il principio del “sacerdozio comune”: tuttavia non ci si deve aspettare che tutto avvenga solo “dall’alto”.

Ci si deve in qualche modo avvicinare al diaconato femminile.