Dal 2020, nella scuola primaia, i livelli di apprendimento sono descritti in questo modo: Avanzato: l’alunno porta a termine compiti in situazioni note e non note, mobilitando una varietà di risorse sia fornite dal docente sia reperite altrove, in modo autonomo e con continuità. Intermedio: l’alunno porta a termine compiti in situazioni note in modo autonomo e continuo; risolve compiti in situazioni non note utilizzando le risorse fornite dal docente o reperite altrove, anche se in modo discontinuo e non del tutto autonomo. 

Base: l’alunno porta a termine compiti solo in situazioni note e utilizzando le risorse fornite dal docente, sia in modo autonomo ma discontinuo, sia in modo non autonomo, ma con continuità. In via di prima acquisizione: l’alunno porta a termine compiti solo in situazioni note e unicamente con il supporto del docente e di risorse fornite appositamente.

Al ministro Valditara però queste definizioni sono sembrate poco chiare quindi ha proposto di sostituirle con i più tradizionali: ottimo, buono, sufficiente, insufficiente. Centinaia di esperte ed esperti di scuola hanno fortemente criticato la scelta lamentando la mancanza di qualunque forma di consultazione di chi fa ricerca scientifica su questi temi. E sostenendo che i giudizi tradizionali non sono affatto più chiari perché non dicono nulla sui progressi compiuti da bimbe e bimbi rispetto ai livelli di partenza. E aggiungendo che, in ogni caso, la chiarezza non è certo un criterio pedagogico: si possono dire cose chiarissime che però sono sbagliate e dannose.

A me stupisce molto che dopo pochissimi anni di sperimentazione di un nuovo sistema di valutazione si decida di cambiare senza nemmeno un’analisi dei risultati e un confronto con il mondo della scuola. Mi stupisce anche tanta enfasi sulla questione della chiarezza perché mi pare che “in via di prima acquisizione”, “base” ecc. siano espressioni chiarissime che però si sforzano di sottolineare il lato positivo della prestazione anche se questa non appare brillante. Mi pare, cioè, che esprimano un positivo incoraggiamento piuttosto che una specie di condanna o un premio. In ogni caso, mi auguro che non si abbandoni l’impegno, da parte del/della docente che valuta, di descrivere i punti di forza e di debolezza di una prova indicando anche la via per un miglioramento.  

Per approfondire la questione si può vedere il testo di Daniele Novara (Cambiare la scuola si può, Rizzoli, 2018) che presenta il modello della “valutazione evolutiva” oppure  riascoltare su youtube il vivace dibattito organizzato qualche giorno fa da Avvenire tra lo stesso Daniele Novara (pedagogista, fondatore del Centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti di Piacenza), Loredana Perla (Ordinaria di Pedagogia,  Università di Bari) e Claudia Di Pasquale (Presidente AGE).

Carla Mantelli